IL FUTURO DEL FINE DINING TRA SOSTENIBILITÀ ECONOMICA ED ETICA
In seguito all’annuncio della chiusura del famoso ristorante danese Noma, numerosi chef stellati, ma anche molti dipendenti, hanno aperto un dibattito sull’effettiva sostenibilità economica ed etica dell’alta ristorazione.


I dubbi degli esperti del settore risiedono principalmente nell’eccessiva mole di lavoro necessaria a mantenere determinati standard, oltre che nei costi che i ristoratori devono sostenere, sia per gli strumenti di lavoro, che per il crescente caro energia e per la formazione e certificazione del personale.


E, se da un lato l’alta cucina è stata riconosciuta come una forma d’arte, con gli chef più noti che si danno il cambio tra un programma televisivo e un altro, diventando così un riferimento culturale per le nuove generazioni, dall’altro lato si nota un continuo aumento delle ore lavorate, che vanno di pari passo con i sempre più complessi piatti proposti e un’esasperata ricerca della perfezione.


Sono molteplici, quindi, le problematiche riconosciute nei meccanismi interni dell’alta cucina, che ha probabilmente bisogno di ripensare sia il suo modello economico ma, soprattutto, quello etico.
Infatti, i lavoratori del nuovo millennio tollerano sempre meno lo squilibrio tra lavoro e vita privata, oltre ai compensi inadeguati che non rispecchiano le ore di lavoro richieste e il sistema gerarchico, spesso militaresco, adottato in molte cucine.


La soluzione a queste problematiche è probabilmente rivedere metodi e mezzi usati per raggiungere determinati obiettivi, per rimanere così tra gli esempi virtuosi dell’alta ristorazione o, come dicono in inglese, del fine dining.
Simona Schifano